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Ho conosciuto Mauro Rostagno leggendo il libro scritto da sua figlia Maddalena.

Il suono di una sola mano.

Mi incuriosiva il titolo, che poi ho scoperto essere una bellissima storia Zen.

E la copertina, una foto scattata in una di quelle macchinette automatiche, in metropolitana a Milano. Sono Mauro e la sua bambina. Lei strabuzza gli occhi di fronte all’obiettivo, mentre lui, con la faccia piena di barba, è in posa con gli occhi attenti e curiosi che spiccano fra la peluria, un’espressione leggermente divertita sul volto.

Un papà e la sua bambina, che si divertono prendendosi in giro di fronte a una macchina fotografica.

E’ questo il fermo immagine che Maddalena ha scelto per presentare suo padre Mauro Rostagno, morto quasi 30 anni fa, assassinato dalla mafia vicino a Trapani, dove lavorava per un’emittente locale come giornalista e dove aveva fondato la comunità Saman, un centro rivoluzionario per il recupero di persone tossicodipendenti.

“Sono più trapanese di voi perché ho scelto di esserlo” diceva ai suoi nuovi compaesani.

Nonostante il tragico finale, la vita di Mauro non è stata triste. Non riesce ad esserlo. Lui era una persona divertente e la sua vita è stata unica e avventurosa, un’instancabile ricerca individuale e sociale, una continua sperimentazione, un viaggio non ancora concluso.

Credo che le parole migliori per sintetizzare la sua esistenza, che è stata così speciale, siano quelle di Michele Serra, curatore della prefazione del libro:

 

«Dalla lotta di classe alla lotta alla mafia, dal rosso del comunismo all’arancione di Osho, da Torino a Trento a Palermo,

da Pune a Milano, da Trapani fino alle stelle dove certamente il suo spirito scintilla.»

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