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A 4000 metri, seduta sul furgoncino blu che si ostina a cercare percorsi alternativi nel mezzo della protesta. Mi aggrappo forte alla cassa su cui sono seduta (gli ammortizzatori, se mai sono stati considerati nella progettazione del mezzo, sono stati catalogati come “extra” e quindi superflui) e sento gli elettrodi che contiene risuonare come monete ad una slot machine.

Di fianco a me Thor ride. E’ danese, di qualche anno più giovane ed un buon 30 cm più alto della sottoscritta. Lo chiamiamo Thor perche’ portatore di martello e un po’ mastro di voltaggio. Ride, come sempre quando il viaggio diventa  tortuoso…Ha qualcosa di vichingo nell’animo il ragazzo…

Sono quasi due ore che cerchiamo di farci strada tra il dedalo dei sentieri bloccati (i Boliviani vorrebbero “strade”, ma per qualsiasi vocabolario europeo più di sentiero e’ un abuso del termine), quando una freccia si fa strada di fronte a noi.

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Una freccia.

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Con punta a cuspide, asta, cocca ed impennaggio. Una freccia. Fende l’aria densa della terra che solleviamo, seguendo la classica traiettoria parabolica, quella che si vede nei film di Morricone per intenderci. E’ staccata dal braccio di un indiano che qui si chiama Aymara e che insieme ad altri come lui chiede ad un paese corrotto la libertà di eleggere il capo della propria comunità.

Noi, su questa carrozza di nuova generazione, siamo i gringos. Cerchiamo acqua. La cerchiamo proprio per la sua comunità (ed altre come la sua). Ma abbiamo scritto MINISTERIO DE MEDIO AMBIENTE Y AGUA e stiamo assediando da due ore l’ultimo sito che dobbiamo investigare per arrivare ad un disegno soddisfacente di questo enorme acquifero che giace sotto Pucarani.

Non stiamo rispettando il blocco stradale in corso da settimane. Non ascoltiamo. Non abbiamo tempo di aspettare la loro battaglia per una democrazia promessa e poi solo raffigurata.

Gringos. Sempre di corsa quando si tratta della democrazia degli altri. Sempre con un fine più importante, più urgente, più …

Meritiamo la freccia.

E’ lanciata a vuoto, di proposito ad un metro di distanza dalle nostre teste, ma il messaggio e’ chiaro: “qui ci stiamo giocando la libertà: l’acqua aspetta”.

Noi capiamo e ci ritiriamo.

Un’altra ora per rientrare a Batallas, e al dormitorio quasi in disuso che utilizziamo come campo base. Arriviamo che e’ notte, stellata, magnifica come sempre a queste altezze, ma siamo troppo stanchi per alzare lo sguardo. Anche Manuel non sorride stasera, odora un po’ di sconfitta quella che abbiamo addosso. Ci manca così poco: un paio di chilometri, una linea non più larga di un piede, qualche ora di misure.

Manuel, il nostro instancabile traduttore Aymara-Spagnolo si scusa in continuazione perche’ e’ la sua comunità a bloccare le strade, e qui tu sei la comunità in cui vivi: tutti responsabili.

In questi due mesi di lavoro fianco a fianco con i gringos ha capito quanto una di queste linee di misure sia importante per avere una buona immagine di quest’acqua sotterranea che renderebbe la vita un grado più semplice agli Aymara dell’altipiano tra El Alto ed il lago Titicaca.

Si scusa e si piega sulla carta stradale in cerca di possibili tragitti tra i blocchi della protesta.

Troverà una soluzione, ci porterà alla nostra ultima linea di misure la mattina presto, al sorgere del sole, dopo aver preso accordi con il capo della comunità con la promessa di partire prima delle 12 dal sito.

Ma per adesso, a 4000 metri, aspettando di addormentarmi a fianco di Thor nel dormitorio vuoto, penso a quella freccia e a quanta frustrazione questi gringos riescono a generare anche quando si mettono in testa la parola “solidarietà”.

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