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I nuovi poveri in Italia. Chi sono? Da dove ripartire?

Il 17 ottobre 2018, in occasione della Giornata mondiale di lotta contro la povertà, è stato presentato il 17° Rapporto della Caritas italiana su povertà e politiche di contrasto, dal titolo “Povertà in attesa”.

Ne sono emersi dei risultati che dovrebbero almeno farci riflettere e acquisire consapevolezza della portata del fenomeno che negli ultimi anni è andato crescendo, intaccando soprattutto le fasce più giovani della popolazione.

Alcuni dati, più di altri, saltano all’occhio:

  • Dagli anni pre-crisi ad oggi il numero di poveri è aumentato del 182%;
  • Il numero dei poveri assoluti è passato da 4 milioni 700mila del 2016 a 5 milioni 58mila del 2017;
  • Tra gli individui in povertà assoluta i minorenni sono 1 milione 208mila (il 12,1% del totale) e i giovani nella fascia 18-34 anni 1 milione 112mila (il 10,4%);
  • Oggi quasi un povero su due è minore o giovane.

Si tratta di numeri che parlano da soli, se si tiene in considerazione che l’Italia oggi conta 60,59 milioni di abitanti e che i dati raccolti si riferiscono “solo” a persone che in qualche modo si sono palesate (mentre ancora tante, troppe storie di povertà e ai margini rimangono nascoste, al di fuori quindi dei dati ufficiali). Inoltre, anche se nel complesso diminuiscono le storie di povertà intercettate, queste risultano più complesse, croniche e multidimensionali.

Il 42,2% del campione analizzato è di cittadinanza italiana, mentre il restante 57,8% è straniero. In entrambi i casi, il fattore “istruzione” è determinante nel suo impatto sulla condizione socio-economica, rendendo particolarmente fragili i soggetti con un basso livello d’istruzione, che sono in aumento.

Oltre i due terzi delle persone che si rivolgono alla Caritas ha un titolo di studio basso, pari o inferiore alla licenza media (il 68,3%); tra gli italiani questa condizione riguarda il 77,4% degli utenti. La situazione dei giovani tra i 18 e i 34 anni desta ancor più preoccupazione: il 60,9% dei ragazzi italiani incontrati (fuori dal circuito formativo e scolastico), possiede solo una licenza media; il 7,5% può contare appena sulla licenza elementare.

Coloro che hanno un titolo di studio basso o medio-basso, oltre a cadere più facilmente in uno stato di bisogno, corrono anche il rischio di vivere una situazione di povertà cronica, non risolvibile in poco tempo: in queste condizioni infatti, si attivano spesso e facilmente dei circoli viziosi che tramandano di generazione in generazione le situazioni di svantaggio e che vanno poi ad incidere sulla condizione occupazionale.

Parlando del livello d’istruzione, un ultimo dato è alquanto significativo nel posizionare l’Italia all’interno del più ampio contesto europeo: l’Italia si colloca al penultimo posto in Europa per presenza di laureati, solo prima della Romania.

Non c’è altro da aggiungere.

Se vogliamo salvarci, dobbiamo ripartire dall’educazione, unica e vera arma contro la povertà!

Un’arma potente, che comporta dei sacrifici da parte di tutti, come ha giustamente fatto notare a suo tempo l’ex Presidente dell’Uruguay, Josè “Pepe” Mujica:

«Dall’educazione dipendono buona parte delle potenzialità produttive di un Paese, ma anche la futura attitudine della nostra gente alla convivenza quotidiana. Chiunque di voi qui presente potrebbe continuare ad aggiungere nuovi argomenti per avvalorare il carattere prioritario dell’educazione. Ma, forse, la domanda cui nessuno riuscirà a rispondere facilmente è la seguente: a cosa rinunceremo per dare risorse all’educazione? Che progetti posticiperemo, quali retribuzioni negheremo, quali opere smetteremo di fare?

Con quanti “no” bisognerà pagare il grande “sì” all’educazione?»

(tratto dal libro La felicità al potere – Discorso di inizio mandato presidenziale, pronunciato in Parlamento il 1° marzo 2010)

Ecco, ripartiamo da questa domanda.

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