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Tutelare, proteggere, sostenere, accompagnare, risalire, ricostruire, ricominciare.

Mi chiamo Marianna, ho 10 anni e sono una ragazzina come tante. Mi dicono che noi ragazzine di 10 anni di oggi siamo molto diverse da quelle di qualche tempo fa, che abbiamo più opportunità e il mondo a portata di mano, sempre.

Non è che io sappia esattamente cosa vogliano dire quando mi dicono queste cose, perché io al momento non ne ho molte di opportunità, se ho capito bene cosa sono queste opportunità.

Ieri notte mia sorella maggiore mi ha svegliata proprio mentre sognavo di mangiare dello zucchero filato, mamma piangeva e papà gridava. Io e mia sorella abbiamo aperto piano la porta della camera ma non riuscivamo a vedere niente ma, come tutte le altre volte, abbiamo seguito le istruzioni di mamma: chiamare al telefono la zia, che chiamerà subito la polizia.

La zia però non risponde questa volta, proviamo una, due, tre, cento volte, ma niente, il telefono squilla a vuoto, così Dalila decide di chiamare lei la polizia, mi stringe la mano, io ho una paura enorme, dobbiamo fare pianissimo perché papà non ci senta, ma sicuramente le urla di mamma coprono la nostra voce. Urla sempre più forte ma quando la polizia ci risponde, improvvisamente smette. Dalila parla a bassissima voce, adesso è papà che grida.

La polizia arriva in un quarto d’ora, ma a me sembrano giorni interi. Sentiamo bussare alla porta, papà bestemmia e apre la porta dicendo ai poliziotti che non c’è niente che non vada; per fortuna il poliziotto non gli crede, lo sento spingere la porta e buttare papà a terra, o almeno è quello che penso sia quella gran botta. Oppure papà ha picchiato anche il poliziotto.

Mamma dice “le mie bambine, sono in camera” con un filo di voce, sembra abbia dell’acqua in gola. Subito dopo una poliziotta apre la porta della nostra camera, ci chiede se stiamo bene e di restare in camera, che tra poco tornerà da noi ma di non muoverci fini a quel momento.

Sento papà imprecare, gridare di liberarlo, insultare la mamma e i poliziotti, minaccia di uccidere tutti. Io mi nascondo sotto le coperte, Dalila si siede sul mio letto e mi accarezza i capelli, mi dice di riprendere i miei sogni ma i miei occhi non vogliono saperne di chiudersi.

Ho 10 anni e soni abbastanza grande, ma in questo momento vorrei solo la mia mamma qui con me. Dalila è brava a fare la mamma quando la nostra non c’è ma il cuore non le batte bene come alla mamma quando mi abbraccia e io lo sento rimbombarmi nelle orecchie e sembra che sia il mio.

Sento la poliziotta parlare, non capisco tutte le parole che dice ma so che sta chiamando l’ambulanza, immagino per la mamma, così penso che passeremo un’altra notte in ospedale con la zia, che si arrabbierà perché la mamma rimane a casa e ci tiene anche noi. Chissà se anche questa volta dormiremo dalla zia per qualche giorno. Spero di no perché il letto della zia è scomodo e non è tanto brava a cucinare.

La poliziotta torna finalmente, si chiude la porta alle spalle e si siede per terra con noi. Ci spiega che la mamma verrà portata in ospedale per sicurezza ma di stare tranquille che sta bene.

“Ora arriverà una signora che vi accompagnerà a casa della zia, resterete con lei finché la mamma starà meglio. Questa signora è un’assistente sociale”. La interrompo per chiederle se è quella signora con il naso storto che viene ogni tanto per sapere come stiamo bene, ma la poliziotta non lo sa. Ci dice che resterà con noi finché non arriverà, mia sorella vorrebbe andare a salutare la mamma, ma la poliziotta ci chiede di restare in camera, che ce la saluterà lei e noi potremo vederla nei prossimi giorni.

Ho il naso e la mandibola rotta, una mano che non riesco a muovere, parlano di fratture anche alle costole, la mia faccia è gonfia e mi mancano intere ciocche di capelli, ho proprio i buchi sul cuoio capelluto. L’infermiera mi ha detto di riposare un po’ ma mi mancano le mie bambine, so che saranno preoccupate e che Dalila starà reprimendo tutto per proteggere Marianna. Non sono arrabbiata con lui, non riesco più ad arrabbiarmi con lui. Ce l’ho solo con me stessa perché non sono stata capace di proteggere le mie bambine e me stessa. È come se improvvisamente non trovassi più tutte quelle scuse per restare dove sono, le ho sempre avute lì, a portata di mano, le elargivo a me stessa e agli altri e adesso, improvvisamente, non ci sono più.

Mi fa male tutto il corpo, ma il cuore è quello che brucia di più. L’assistente sociale ha portato le mie bambine da mia sorella, domani verrà a parlare con me, già lo so, ma questa volta sono sicura: voglio andarmene, voglio portare le mie bambine lontano da quel mostro che è il loro padre; voglio ricominciare, ma da dove? A quale punto mi sono arresa? Da dove devo riprendere la mia vita? Perché ora come ora non ricordo quando è stata l’ultima volta che quegli occhi non mi hanno fatto paura, l’ultimo istante in cui ho pensato “che bella famiglia che siamo”, l’ultimo minuto in cui un sorriso sia stato sincero e senza retrogusto di amaro.

L’assistente sociale, non quella con il naso storto ma una più giovane e carina, sta parlando con la zia, le sta dicendo che accompagnate dalla polizia andranno a prendere l’essenziale per i primi giorni, “lui” non ci sarà ma la polizia per precauzione sarà comunque presente; chiedo a Dalila cosa sia la precauzione ma lei mi liquida in malo modo dicendomi di cercarlo sul vocabolario.

La guardo versare qualche lacrima silenziosa e le chiedo perché pianga. Seccata mi risponde che non è possibile che non capisca mai niente, che ci manderanno via, lontano da qui e non sa se la mamma sarà con noi, per cui devo stare zitta in modo che possa sentire.

Senza la mamma io non vado proprio da nessuna parte!

Dopo un tempo che anche questa volta mi sembra eterno, l’assistente sociale e la zia ci chiamano in salotto, c’è un’altra ragazza con loro, si chiama Vanessa e mi dicono essere l’educatrice. Non so cosa significhi ma non chiedo niente o Dalila si arrabbierà di nuovo.

Ci dicono quasi in coro che io, Dalila e la mamma andremo via per un po’, in un posto lontano da qui, in una “casa rifugio” dove il papà non potrà trovarci e dove ricominceremo una nuova vita.

Preoccupazione numero uno: i miei peluche potranno venire con me?

Preoccupazione numero due: questo significa niente scuola per un po’? Non è esattamente una preoccupazione, diciamo piuttosto una speranza.

Ce ne andremo domani nel pomeriggio, appena la mamma potrà uscire dall’ospedale. Mi manca così tanto la mamma! Finalmente potrò riabbracciarla, per cui tutto il resto mi interessa poco, soprattutto perché mi hanno detto che i miei peluche potranno venire con me.

Dalila invece scoppia in lacrime, non riesce nemmeno più a parlare, la zia la abbraccia forte ma lei non riesce a smettere, le cola il naso e la faccia è tutta rossa. La zia la porta in camera, io rimango con ,e due signorine e inizio a tempestarle di domande su cosa succederà da domani.

Marianna è una bambina, non sa cosa succederà da domani. Rispondo pazientemente a tutte le sue domande e lascio che veda la cosa come una leggerezza, perché è l’unica cosa a cui a una bambina di 10 anni devo garantire, anche in una situazione di merda come questa. Dalila sarà più difficile da agganciare, Dalila avrà bisogno di più garanzie, di più pazienza e di più abbracci, tutti quegli abbracci che negli ultimi anni suo padre ha trasformato in violenza fisica, insulti, schiaffi, sputi, parole di odio e intolleranza.

Da domani queste due creature e la loro mamma saranno sbalzate a centinaia di chilometri dalla loro casa, le loro abitudini, i loro amici e la loro famiglia, dovranno crearsi delle nuove esistenze e il mio ruolo e il mio lavoro mi impongono di dirgli che andrà tutto bene, ma quanto ci credo anche io? Come posso dirgli che andrà tutto bene, quando non ne sono per niente sicura?

Dalila è tornata, mi guarda ma non fa domande. Capisco che mi sta chiedendo una sola cosa: essere sincera. Chiedo a Vanessa e alla zia di portare Marianna fuori a prendere un po’ d’aria, Dalila continua a fissarmi e io mi preparo ad essere sincera.

“Dalila mi dispiace, so che per te è più difficile che per tutti gli altri, ora proverò a spiegarti cosa sta per succedere, ok? Bene. Sarete trasferite in una “casa rifugio”, cioè una casa, un appartamento, che nessuno tranne chi ci lavora, sa dov’è, più o meno. È una casa dove le donne e le mamme con i propri figli stanno per un periodo, finché i processi non finiscono o semplicemente finché non ci si sente abbastanza forti da tornare nella propria città senza avere più paura. Questo non significa che non avrai più paura del papà, ma solo che avrai imparato a difenderti e soprattutto lo avrà imparato la mamma. O magari non tornerete mai, magari vi piacerà stare nella nuova città e resterete lì, questo non possiamo ancora saperlo. Ovviamente nom sarete sole, ci sarà qualcuno con voi, spesso, che vi aiuterà con tutto ciò che vi servirà. Frequenterai ovviamente una nuova scuola, sono sicura che troverai nuovi amici, ma potrai continuare a sentire le tue amiche, anche se per un po’ vi chiederemo di non sentire nessuno. La nonna, le zie, i vostri amici, nessuno dovrà sapere dove siete, questo ho bisogno che sia molto chiaro e che rispetterai questa regola (Dalila fa un cenno con il capo, ha capito). Brava. Dalila non sarà facile, non voglio farla facile, ma al momento è l’unica soluzione che abbiamo per garantirvi quanto meno un po’ di tranquillità. Questo ti è chiaro?”

Dalila sembra assorta, si morde il labbro inferiore, sta trattenendo le lacrime. Forse sono stata troppo dura? Alza lo sguardo, mi fissa, si fa serissima e mi chiede una sola cosa, una sola domanda, che però è la più difficile di tutte:

“Perché semplicemente papà non viene messo in galera e noi possiamo stare a casa nostra?”

Marianna rientra in casa saltellando, abbraccia Dalila e le dice “tranquilla sorellona, sarà tutto perfetto, te lo garantisco io”

Le due sorelle si abbracciano, Dalila non piange più, stringe la sorellina e tiene gli occhi stretti, come se stesse mettendo tutta la sua forza in quell’abbraccio. La zia propone di mangiare qualcosa, io e Vanessa salutiamo le ragazze e ce ne andiamo.

Appena fuori dalla porta sospiro, butto fuori tutta l’angoscia e lascio la giornata scivolare verso il fondo. Vanessa mi tocca una spalla e mi dice “non arriva mai il momento in cui è più facile”.

No, non arriva mai, ma io domani mi alzerò e inizierò una nuova giornata sapendo dove andrò quando sarà finita. Dalila, Marianna e la loro mamma lasceranno tutto, forse per sempre, senza esserne forse nemmeno consapevoli fino in fondo, e io non so spiegare loro perché il carcere preventivo non è stato previsto per quel mostro del loro padre, nonostante abbia quasi ucciso la moglie. Non ho una risposta al perché la legge solo ora stia iniziando a muoversi per tutelare le donne vittime di violenza, ma non sta andando veloce quanto le mani violenti di un uomo che si arroga il diritto di sentire una donna come una proprietà, o peggio che gli sia di peso ma non la lasci libera nemmeno in quel caso, che preferisca tradirla, umiliarla, picchiarla, offenderla, catapultarla nel buio più assoluto, ma non la lasci libera di scegliere.

Io non lo so perché tutti questi uomini non vengano immediatamente carcerati o chiusi da qualche parte e a lasciare tutto debbano essere le donne. Non lo so nonostante sia il mio fottuto lavoro.

Dalila piangerà ancora molto, Marianna le ripeterà che sarà tutto perfetto e lei fingerà di crederci, ma alla fine quante Dalila, Marianna e madri di bambine come loro dovremo vedere morire o perdere tutto perché si possa arrivare a sentire che le si sta tutelando davvero?

Tutelare, proteggere, sostenere, accompagnare, risalire, ricostruire, ricominciare.

 

Vali

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