“È più facile immagine la fine del mondo che la fine del capitalismo”
Questa frase (di Fredric Jameson) mi ha sempre fatto riflettere e non nego che forse uno spirito di ribellione e una qualche utopia sociale pescata tra i libri e fogli di studio mi ha fatto pensare che, dopotutto, non è vero. Il capitalismo vedrà la propria fine in un modo o nell’altro. Salveremo il mondo dal disastro ambientale imminente.
La credibilità di questo mio pensiero conta ben poco quando si considera che politici, accademici, filosofi, sociologi, geografi, economisti e altre illuminate categorie di esseri umani hanno dedicato l’intera vita – o quanto meno una parte considerevole di essa – alla critica dell’attuale sistema socio-economico. Sicuramente, immergersi e districarsi in questo labirinto di discussioni è affascinante e una pratica intellettuale che può generare i frutti di una protesta sociale di cui tanto abbiamo bisogno. Farsi guidare da queste riflessioni (e talora utopie) è un atto di fede altissimo che non deve essere sminuito né tacciato di ingenuità, poiché se di qualcosa siamo ancora padroni è la nostra capacità di immaginare alternative. E non mi si fraintenda. Quotidianamente dobbiamo combattere per la libertà della nostra immaginazione, poiché essa è fortemente limitata dal contesto socio-economico in cui viviamo, dalle materie che impariamo a scuola, dai libri che leggiamo, dai film che guardiamo, e via dicendo. Quotidianamente la creatività e l’immaginazione vengono addomesticate da un sapere sempre più tecnico e quadrato che ha fatto suoi quei meccanismi di auto-riproduzione che gli permettono di dominare la domanda e l’offerta del mercato del lavoro. Ciononostante, siamo ancora padroni della nostra immaginazione e dobbiamo coltivarne i frutti con le cure più attente ed amorose, poiché sono proprio quei frutti che creano per noi mondi alternativi.
Quando leggevo J.K. Gibson-Graham – nome fittizio che si riferisce a due femministe e geografe – mi ha colpito proprio questa dimensione di immaginazione nella loro formulazione post-capitalistica. La capacità di pensare oltre l’attuale sistema capitalistico è forse l’arma più importante che possediamo – o questo è vero nel momento in cui decidiamo di non sottostare e di resistere ai flussi del neoliberalismo. Parlano di creare un nuovo linguaggio e di “coltivare” nuovi soggetti che sappiano desiderare e abitare spazi al di fuori del capitalismo (se siete interessati a sapere qualche cosa in più, potete consultare il libro “A postcapitalist politics”, 2006 – https://www.upress.umn.edu/book-division/books/a-postcapitalist-politics). Questi atti di creazione potrebbero apparire utopici e sicuramente i più accaniti critici riderebbero di fronte a queste affermazioni. Noi stessi, vivendo all’apice della razionalizzazione umana, potremmo ritenerci ingenui e poco realistici nell’avere certe immaginazioni e speranze. Quante volte ci siamo trovati a fare i conti con l’apparente impossibilità dei nostri pensieri, poiché ci scontriamo quotidianamente con le difficoltà e le contingenze della nostra vita.
Tuttavia, io penso che è proprio lì, al livello più personale della nostra privata esperienza di vita, che è possibile iniziare atti di resistenza. Anna Tsing, un’antropologa statunitense, ci dice infatti che possiamo notare le linee del capitalismo e dunque iniziare a pensare ad un’alternativa soprattutto in quegli spazi dove le vite e le pratiche di vita si svolgono e si realizzano quotidianamente. Certamente, non sfuggiamo a quel mondo controllato dal capitale, dalla classe e dalle ingiustizie – e quindi si potrebbe pensare che quella frase all’inizio del mio testo sia vera: il capitalismo non morirà – però è da qui che possiamo riprendere ad immaginare.
Ed è a questo punto che Chiron ci può aiutare a vedere un po’ più chiaramente quanto ho scritto fino ad ora. Chiron è il protagonista della storia narrata in “Moonlight”, un film uscito nel 2016 e presto consacrato come uno dei capolavori del regista Berry Jenkins. Non è assolutamente mia intenzione iniziare una critica al film. Qualora voi foste interessati, vi consiglio questo video su Youtube: https://www.youtube.com/watch?v=Ot9DX5S8aHk.
Chiron è un testimone di numerose violenze del capitalismo e del patriarcato. Chiron è di colore e vive a Liberty City, un quartiere residenziale di Miami, USA, dove processi di gentrificazione urbana (processo di cambiamenti urbanistici e socio culturali all’interno di una città per cui certe zone, precedentemente abitate da popolazione da basso reddito, vengono occupate da classi sociali più agiate, causando un alzamento dei prezzi e un allontanamento delle fasce più deboli) sono più che evidenti. Chiron cresce con una madre tossicodipendente e con difficoltà economiche. Chiron, infine, vive un’ennesima oppressione dovuta al suo essere omosessuale. Nella vita di Chiron, quindi, si scontrano proprio quei processi che in un modo o nell’altro il sistema capitalistico, nonostante la propria resilienza ed i propri mutamenti, rinforza o quanto meno supporta. L’intersezione di questi fenomeni di discriminazione determina lo sviluppo di Chiron dall’infanzia fino all’età adulta, poiché impone pratiche e contingenze brutali. Chiron non riesce a comunicare con i propri compagni di giochi, Chiron è vittima di bullismo per i propri atteggiamenti effemminati e la latente omosessualità, infine Chiron, quando si ribella con violenza a questi soprusi, finisce in riformatorio, dove viene indotto alla droga e allo spaccio. La sua storia è quella di un costante sforzo teso a creare una propria soggettività: in questa lotta Chiron pare soccombere alle contingenze della propria realtà e più generalmente a quel sistema che determina tali pratiche di vita. Tuttavia, quando nell’ultima scena Chiron abbraccia e poggia la testa sulla spalla dell’amico storico, nonché l’unico ragazzo che lo abbia mai toccato e baciato, a noi pare che Chiron abbia vinto. Abbia finalmente determinato la propria soggettività e si sia lasciato alle spalle il vecchio Chiron (o “little” o “black”), quello che spacciava droga e con i denti d’oro.
Per questo motivo, io credo che Chiron e “Moonlight” possano essere letti in una chiave di resistenza al sistema capitalistico: la storia personale di ognuno di noi è vittima, in un modo o nell’altro, di determinate costrizioni mentali e fisiche dettate dall’attuale sistema capitalistico. Senza insinuare che un qualsiasi altro sistema alternativo possa essere esente dalla propria normatività, io credo che nella vita di ognuno di noi esista uno spazio di creazione di alternative. Di mondi possibili dove le nostre oppressioni – lo ripeto mentali e fisiche – possono essere sollevate dalle nostre spalle. Chiron crea quel mondo – o quanto meno resiste al mondo parallelo che lo opprime – e prova esattamente che la prima resistenza al capitalismo sta laddove le linee del capitalismo si incontrano e si svelano per quello che sono. Laddove ci sono spazi di vita carichi di storie che simboleggiano la resistenza della diversità.
Anna Tsing conclude un suo articolo con queste parole e vorrei prenderle in prestito per concludere questo breve intervento:
“Fuori casa, tra le foreste ed i campi, l’abbondanza [e la diversità] non si è ancora esaurita”.
(Tsing, A. (2012). Unruly Edges: Mushrooms as Companion Species: for Donna Haraway. Environmental Humanities, 1(1), 141-154).