Che ruolo ha il calcio all’interno del più vasto universo sportivo? In quale direzione si è evoluto negli ultimi anni trasformandosi da un bellissimo gioco di squadra a quella micidiale macchina per fare soldi e ottenere fama e visibilità? Chi sono le persone che gravitano intorno alle squadre di calcio, divenute ormai aziende al servizio di uno spietato sistema capitalistico?
Lo abbiamo chiesto a Enrico Castelnuovo, classe 1970, che dopo avere studiato all’ISEF di Milano, nel 1993 ha conseguito la qualifica di istruttore di calcio e nel 2005 il diploma UEFA B. Allenatore di diverse squadre ossolane da oltre 20 anni, per 3 anni – dal 2013 al 2016 – è stato l’allenatore della Juventus Domo, portandola all’Eccellenza nel corso di una memorabile stagione che per il Mister rimane una delle più belle esperienza della sua carriera. Nonostante questo, Castelnuovo non riesce a essere tenero quando parla del calcio e di quello che è diventato, definendolo egli stesso “un sistema per fare business a partire dalle più basse categorie”. E quando parla delle più basse categorie si riferisce al settore giovanile.
D: Cosa significa oggi fare l’allenatore di calcio?
R: Significa scontrarsi regolarmente con un sistema che punta tutto sul più forte, sul più furbo, quello che potrebbe guadagnare e far guadagnare. I più deboli sono completamente marginalizzati e i più forti, che in un’ottica di squadra dovrebbero trainare i più deboli verso il raggiungimento di un obiettivo e adottando una visione comune, sono spesso troppo incentrati su di sé, troppo individualisti per assolvere il compito. Questo però non è calcio, è l’anti-sport, contrario ai valori di regole (poche), uguaglianza, rispetto e aiuto reciproco che ogni buon allenatore dovrebbe seguire.
D: E chi è il giocatore su cui invece un allenatore deve puntare?
E’ quello che ha più da dare, il più umile, quello con il cuore più grande, interessato a lavorare su di sé, a migliorarsi, non accecato dall’obiettivo, in grado di aspettare. Non dimentichiamoci che uno scarso in campo può essere un grande leader di spogliatoio, e non è poco! In questo senso, ecco allora che quelli che per la maggior parte delle persone sono “i più deboli”, per me sono invece i più forti. E comunque non è così facile operare una differenza qualitativa, quando il lavoro dell’allenatore è proprio quello di portare alla luce e far uscire ciò che una persona può dare in termini di valori, prima ancora che di competenze tecniche. L’allenatore deve costruire su colui che crede.
D: Come ci si riesce in un sistema che, come tu stesso hai detto, punta tutto sul “più forte”?
R: Non perdendo mai di vista l’obiettivo, che è l’obiettivo della squadra. Un bravo allenatore deve essere carismatico, intelligente, sensibile dal punto di vista umano. Il suo lavoro è la continua ricerca di migliorare sé stesso e gli altri, anche e soprattutto nelle avversità. Il calcio è uno sport bellissimo, imprevedibile, al pari della vita. In quanto sport più praticato nel nostro Paese dovrebbe essere il primo esempio, a partire dai più piccoli. Invece è gonfiato in maniera eccessiva, lo stanno rovinando. Pensate che a molti dei genitori dei ragazzi del settore giovanile non interessa più che il proprio figlio sia educato e rispettoso, ma che diventi forte, proiettato in un futuro di fama e ricchezza. E’ davvero un peccato… Questo non è sport! Penso che ora il calcio abbia molto da imparare dalle altre discipline, come il rugby: lì praticamente non ci sono regole, quando giocano per raggiungere l’obiettivo si spintonano, se le danno di santa ragione; ma a partita conclusa pacche sulle spalle, strette di mano. L’avversario va rispettato. Prima lezione da imparare. Quella parte di tifoseria cieca e ottusa è anch’essa anti-sportiva. C’è l’azione ben fatta, indipendentemente da chi l’ha compiuta.
D: Allenatore, giocatori, genitori, tifosi…Sono tante le persone che gravitano attorno a una squadra di calcio, a maggior ragione in un’ottica sempre più aziendale. Vuoi provare a spiegarci brevemente chi sono e cosa fanno?
R: Allora, partiamo dalla “struttura aziendale”.
Il finanziatore è quello che ci mette i soldi; ad oggi, purtroppo, nella maggior parte dei casi solo per un ritorno di immagine.
Il Presidente è il responsabile della società. Anni addietro è stato un ruolo ricoperto da persone di indiscussa passione, oggi in parecchi casi è diventato un ruolo di visibilità.
Il Vice, una volta era la “spalla forte” del Presidente, oggi è diventato un ruolo da coprire per completare l’organico.
Importanti tanto quanto il Presidente sono i Dirigenti, soprattutto chi ricopre il ruolo del Segretario, che deve far funzionare le cose al meglio. Si passa da persone squisite che offrono manovalanza, impegno, sudore e sacrificio, a persone che sprecano il tempo a creare piani tattici per “manipolare” la stessa società. Rispetto profondamente la prima categoria.
E poi ci sono gli Sponsor, sempre di meno, ci sarà un perché…
Ora, se volete, posso parlarvi di calcio, inteso come gioco, la parte migliore.
D: Vai!
R: Vi presento i calciatori.
In campo ci sono 11 giocatori: il portiere, i difensori, i centro-campisti, gli attaccanti e, fuori dal campo ma non dalla squadra le riserve, fondamentali.
Il portiere rappresenta la sicurezza della squadra, è un leader. In quanto tale deve avere personalità, deve essere deciso. Il suo ruolo è delicato: quando commette un errore viene colpevolizzato a oltranza. Sbagliatissimo! Quello che bisogna fare è evitare che si ripeta in futuro quello stesso errore. Mi piace descrivere la persona che ricopre questo ruolo come “inconsciamente razionale”.
Poi ci sono i difensori, da 3 a 5. Un casino! Sempre meno persone vogliono giocare da difensori: è difficile gioire perché non hai fatto segnare l’attaccante della squadra avversaria. I difensori sono come gli armieri. I loro occhi devono parlare: “Da qui non passi.”
I centro-campisti (da 3 a 5) invece sono quelli che danno equilibrio alla squadra e sono fondamentali.
Gli attaccanti, bè, sono in via di estinzione. Devi far fatica, pigli le botte. L’attaccante è il giocatore che fa la differenza rispetto alla squadra precedentemente impostata, soprattutto nelle categorie dilettantistiche.
Infine le riserve, che non devono essere sottovalutate. Sono estremamente importanti e non solo per completare l’organico.
In una buona squadra ciò che importa è umiltà, cuore, lealtà, impegno.
I presuntuosi, gli arroganti, non contano niente nel calcio inteso come gioco, come sport; rimangono fini a sé stessi, non hanno nulla da spartire con lo spirito di squadra.
D: Ti lasciamo concludere l’intervista con una frase ad effetto da rivolgere ai tuoi giocatori!
R: “La mia longevità sportiva è un punto d’orgoglio perché è figlia di sacrifici, fatica, allenamenti massacranti.”
Non sono parole mie, ma di Pietro Mennea, 3 volte campione italiano assoluto dei 100 metri piani (1974, 1978, 1980), 11 volte campione italiano assoluto dei 200 metri piani (1971, 1972, 1973, 1974, 1976, 1977, 1978, 1979, 1980, 1983, 1984) e 1 volta campione italiano assoluto della staffetta 4×100 metri (1974).
Quello che è importante non è l’obiettivo fine a sé stesso, ma il percorso in salita intrapreso per raggiungere la vetta. Sempre.
*ingènuo agg. e s. m. (f. –a) [dal lat. ingenuus, comp. di in-1 e tema gen– di gignĕre, genus, generare, ecc.; propr. «indigeno, nativo; nato libero», poi «onesto, schietto, semplice»]. – Di persona che, per semplicità d’animo e soprattutto per inesperienza degli uomini e del mondo, conserva l’innocenza e il candore nativi ed è aliena perciò dal pensare il male e dal supporlo in altri. La parola assume toni e sfumature diverse a seconda che si riferisca a persona molto giovane: una bambina i., un ragazzo i., candidi, innocenti, per caratteristica propria dell’età; o a persona più adulta: un giovane i., una donna i., privi di malizia, puri di sentimenti, di pensieri e di vita; sei troppo i. per capire certe cose. (http://www.treccani.it/vocabolario/ingenuo/)