Oggi è giorno di spesa; nonostante non abbia la minima voglia di mischiarmi con persone comuni, mi tocca uscire dalla mia torre d’avorio e recarmi all’MD, dove oltretutto, a causa di questo Covid19 del cavolo, sono costretto a stare in fila con altri soggetti.
Vabbè, inutile lamentarmi: mi infilo il mio mantello, prendo il mio fedele bastone e scendo in paese.
Appena arrivato scopro che ora l’entrata al supermercato è contingentata per ridurre al minimo il contagio, il che implica la vicinanza con altre persone. Sbuffando in maniera palese, mi inserisco nella coda che si snoda nel parcheggio, e aspetto, sperando che nessuno mi rivolga la parola, men che meno che mi coinvolga in futili chiacchiere, soprattutto di carattere impersonale, “si dice, si sa” e simili.
Fobo: Oh, ma lo sai cosa dicono? Che il virus lì, il coronanonsocheroba, l’hanno creato i Cina come arma biologica da trasmettere all’esercito americano mentre era lì per operazioni di nonsochetipo… maledetti cinesi!
Docsa: Ma che cazzo dici?!? Non lo sai che viene dagli animali??? Possiamo stare tranquilli, qui non ci sono i pipistrelli. L’ho letto su internet, in più un mio contatto di Feisbuk posta link che dice che muoiono solo vecchi e malati… cazzo ce ne frega a noi?
Ti(pa)zia: Scusate, non per intromettermi… Intanto si chiama coronavirus, oppure se si vuole usare il nome ufficiale inglese COVID-19, ovvero COronaVIrus Disease 19; questo lo dico perché sapere esattamente come si chiama una cosa serve a rappresentarlo meglio sia linguisticamente che epistemologicamente. Passando poi alla provenienza del virus, anche sapendo che viene dagli animali, in che modo questo sarebbe un elemento determinante nella gestione da parte nostra della quarantena?
In ultima istanza, vorrei proprio capire che tipo di fonte si cela dietro questa forma impersonale del “dicono”, “non lo sai che”, e in particolar modo questo valore attribuito all’internet nella sua interezza, come se in quanto tale fosse fonte di auctoritas, oppure ad un link postato da non so chi di cui probabilmente viene letto unicamente il titolo, quando va bene.
Concludendo: trovo riprovevole pensare che se il virus colpisce una fascia di popolazione a cui non si appartiene allora ci si può sentire esenti tanto dal rischio quanto dal non tenere in conto che anche gli anziani con patologie pregresse fanno parte dell’umanità: non esiste una parte dei “sacrificabili”. Senza contare che un’epidemia di lungo corso non pone minimamente questo problema, quanto piuttosto la tenuta a lungo termine del sistema sanitario…
Fobo: Oh raga! È arrivata la professorona di staminchia! Cosa sei, una specie di scienziata laureata grazie ai soldi di papino?? Guarda che qui parliamo di cose vere, non abbiamo tempo di pensare, perdere tempo a riflettere… qui muoriamo tutti!
Docsa: Aaaaaaaaaaspetta io lo so cosa sei, o cosa hai studiato. Come si chiamano quelli là che… dai, pensano tutto il tempo, non fanno niente, leggono vecchi libri di gente morta da una vita… fisofoli…fifolosi…mmmmmno aspetta eh… quelli che non servono a niente e si lamentano sempre, sempre lì a criticare… come quel tizio lì che vive nella torre d’avorio qua dietro, sempre con il mantello e il bastone!
(Ecco, lo sapevo; all’improvviso lo sguardo di tutti si volge inevitabilmente verso il sottoscritto, descritto precisamente dalle parole di Docsa. Silenzio. Aria pesante. L’uditorio attende un mio segno, un mio gesto, qualcosa che li faccia uscire dall’horror vacui che si è appena creato, ed io: niente. Non cederò alla tentazione di dialogare con loro, non mi capirebbero, mi bollerebbero come quello che…)
Io: Salve gente! Ebbene sì, Docsa è di me che sta parlando. La parola che lei sta cercando è FI-LO-SO-FO, filosofo! È una parola di matrice greca composta dall’unione di due termini, filo e sophia, dove la prima significa…
Fobo: Oh scusa, fisiologo dellammminchia, ma cheddici? Cosa centra il ristorante greco ora… noi qui stiamo parlando di una cosa vera del mondo: c’è un virus che ammazza la ggggente, dobbiamo stare chiusi in casa senza schizzare, integerrimi poliziotti fanno il loro sacrosanto mestiere per impedire alle teste di cazzo che vanno in giro a correre e a diffondere il virusquellolà… Noi abbiamo P-A-U-R-A! In che modo tu, vestito di stracci, con un bastone come unico bene, ci sei utile dall’alto della tua torre d’avorio di merda???
Io: beh, la filosofia non è quella elucubrazione onanista che voi descrivete, utile solo al godimento solipsistico dell’esercizio intellettuale sganciato dalla vita activa. La filosofia è un modo di vita fondato su di un discorso filosofico, che a sua volta trova il proprio fondamento solo se calato entro una vita filosofica: una sorta di circolo virtuoso entro cui non è importante il punto da cui partire ma piuttosto il fatto stesso di entrarvi, e prima ancora di riconoscere il legame tra vita contemplativa e vita pratica.
Prendiamo il caso della P-A-U-R-A per esempio. Cos’è che ci fa paura? Il fatto che l’umanità sta toccando con mano quotidianamente la propria condizione effimera, il carattere del tutto aleatorio della vita; di qui, secondo Heidegger, la certezza dell’essere-per-la-morte del Dasein, cioè il particolare ente che è l’uomo. Di fronte ad una simile gettatezza perturbante, cioè che ognuno muore la propria morte, l’umanità può fare esperienza di un carattere comune, l’angoscia esistenziale, parallelamente al “fatto della pluralità”, elemento su cui ha insistito Hannah Arendt, allieva nonché amante di Heidegger, ma poi pensatrice autonoma e dirompente. Di contro all’essere-per-la-morte, la filosofa fa giocare la categoria di “natality”, di “natalità”, ovvero la capacità specifica degli esseri umani di dare nascita a qualunque cosa: ovviamente non è relegata minimamente alla dimensione biologica, anzi, è una categoria che andrebbe esercitata soprattutto nell’ambito della politica.
Ecco, di fronte ad un simile scenario io mi sento molto più consapevole e quindi rasserenato: voi no?
Fobo: …no! Hai solo parlato e detto cose incomprensibili! Chi diavolo sono Aippter e Annàrett?? Chi li ha mai sentiti? E poi che diavolo sarebbe quella parola della certezza che hai pronunciato come un pirla, prima: sei forse balbuziente? E le altre robe, il giàsàin e natàliti? Boh… Oltre a non aver capito, resta il fatto che muoio, e ho paura.
Docsa: Anvedi il professorone come sa parlare bene! I soldi di papi sono serviti a qualcosa almeno, questo te lo riconosco. Peccato che sono d’accordo con Fobo: non si è capito niente, e parlare non cambia certo il fatto che tutti schiattiamo e che ci caghiamo sotto dalla paura. Ora, con uno psicologo lo sforzo lo facevo anche, ma con un filsofolo…
Ti(pa)zia: Scusate, ma in realtà il filosofo ha semplicemente detto che la nostra condizione è quella di esseri mortali, e a questo non si scappa. Tutti moriamo, e siccome non possiamo fare a cambio con nessuno, ognuno ha paura per la propria di morte; e questo è angosciante. Se però pensiamo che possiamo essere anche altro in vita, allora ci accorgiamo che siamo in grado di dare vita a un sacco di cose, a partire dai figli, dal semplice pensare un’idea personale fino ai progetti più disparati. Forse questo può alleviare un po’ l’angoscia della morte di cui parlavamo prima. Così non è chiaro?
Fobo; Docsa (all’unisono): sì cazzo! Questo è parlare! (dopodiché parlandosi uno sull’altra) Certo, nella vita vera non cambia niente… Tante belle parole ma che non toccano i fatti…
Docsa: Ascolta fisionomo, non potevi fin da subito parlare come Ti(pa)zia? Perché non parli come mangi, se veramente vuoi farti capire dalla gggente?
Io: Certo che avrei potuto parlare in maniera semplificata fin dall’inizio, ma come ogni sapere il linguaggio filosofico…
Neanche il tempo di iniziare la mia spiegazione che Fobo e Docsa si voltano ed entrano nel supermercato lamentandosi che aspettare così tanto in fila non ha senso, neanche ci fosse un’epidemia di ebola…
Ancora frustrato per il tentativo fallito di mostrare l’utilità della filosofia e disarmato sulla totale indifferenza rispetto alla necessità di un linguaggio adeguato per un determinato livello di profondità espressiva, guardo Ti(pa)zia a metà fra l’ammirazione e il fastidio; lei mi vede, sorride, si scosta il cappotto e lascia intravedere un mantello tutto trasandato…
A quel punto, dimenticandomi di dover fare la spesa, torno nella mia torre d’avorio e mi siedo con il mio studio, felice di avere un nuovo tema su cui riflettere: la comunicabilità della filosofia ai non-filosofi.
Anglerfish