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Questa sera, navigando su Facebook, tra una fake news e un post di virologi dell’ultima ora, immersa in storie complottistiche fantastiche, persa a riflettere su quanto sia incredibile che persino un social network della portata di Facebook sia diventato monotematico, becco un articolo inaspettato, più che altro perché quello che era il tema centrale diventava per me una scoperta: sotto Pasqua fermeranno la didattica on line.

Non ci avevo pensato perché non avendo figli non mi sono posta il problema del rispettare le feste e il calendario scolastico. Indovinate però cos’ho deciso di fare? Aprire i commenti.

Mai errore fu più nefasto perché adesso sono qui a scrivere questo pezzo, che mannaggiamme potevo non leggere i commenti e adesso stavo guardando un film, no?

No.

I commenti in cui molti concordavano con il rispettare la pausa erano la maggioranza, è giusto partire da questa premessa. Poi però c’era una schiera di presunti colti signori e colte signore che inneggiavano alla pigrizia degli insegnanti, alla nullafacenza dei giovani durante questo stop e soprattutto discutevano animatamente su quanto fare l’insegnante sia sostanzialmente una mera ricerca del posto statale.

Non volendomi ergere a strenuo difensore della categoria, mi vien da dire che son proprio scemi quelli che studiano per diventare insegnanti, se lo fanno solo per il posto statale, contando che i concorsi vanno a singhiozzi, molti non ottengono il posto fisso se non quasi alla pensione e che molto spesso per avere un anno come supplenti devono attraversare la Nazione, mollando famiglia e certezze per nove mesi di lavoro che chissà se l’anno scolastico successivo c’è ancora.

Proprio scemi, sì.

Ma la questione che vorrei approfondire, vostro malgrado, è un’altra.

Questa fetta di popolazione così colta, che così profondamente conosce l’umano e le sue tante sfaccettature, che con costanza e determinazione hanno nella vita passato gran tempo ad osservare gli altri da saperne riconoscere l’odore a km di distanza, questi personaggi assolutamente irrinunciabili sulla scena socio-politica da social network, in quarantena non fanno il pane come tutti?

 

Pare che quelli che fanno il pane siano meno propensi a rompere i maroni a qualsiasi categoria umana presente.

Fate più pane!

 

Lavoro in un gruppo appartamento per ragazzi con disabilità. Da fine febbraio abbiamo dovuto dirgli in sequenza: non può più entrare nessuno a parte gli operatori; non potete più uscire, nemmeno per lavorare; gli operatori dovranno mantenere il metro di distanza; gli operatori dovranno indossare guanti e mascherina per l’intero turno; gli operatori non potranno più mangiare con voi al tavolo. In pratica gli abbiamo tolto tutto, dal lavoro allo scambiarsi un sorriso con noi. Lo sanno che stiamo sorridendo o ridendo, ma non lo possono vedere. Vedono solo i nostri occhi, sentono la nostra voce, ma non ci sono più carezze, abbracci, un gesto d’affetto; ci guardano mangiare addosso alla cucina, alcuni non possono nemmeno vederci in faccia mentre mangiamo, dobbiamo allontanarli se per un secondo abbassiamo la mascherina magari per bere. Non possono nemmeno portare più fuori l’immondizia! Eppure sapete una cosa? Non si lamentano mai.

Ogni tanto dicono di essere stufi, si chiedono quando finirà, ma riescono a fare ironia chiedendoci “sei andata in giro oggi?”, si godono le attenzioni extra, ci aspettano con pazienza dal momento delle consegne, che durano un po’ di più perché quello è l’unico contatto umano che abbiamo extra familiare; e sorridono, sempre.

E poi ci siamo noi, che in teoria siamo i normodotati, quelli “normali”, in grado di capire la situazione, che siccome non ci stiamo dentro a vivere con noi stessi critichiamo qualsiasi cosa ci capiti a tiro, persino quei gran pigri degli insegnanti.

Eh, non vediamo più nessuno, non abbiamo pettegolezzi, non riusciamo a vedere bene com’è vestita la vicina quando esce per farne vociare di paese. Quindi apriamo Facebook e lo inondiamo di merda, quella vera, quella che non lascia nemmeno spazio al confronto, perché ognuno ha le proprie verità e nessuno degli altri ne ha.

Siamo tutti virologi, statisti, economi, politici, ricercatori, medici, infermieri, oss, qualcuno persino assistente sociale o storico.

 

Ma sapete qual è la verità? Che siamo tutti utenti di un grande gruppo appartamento per disabili chiamato Mondo, e non c’è scampo per nessuno. Nemmeno per quelli che prima avevano un po’ di buon senso.

 

Perché stare soli con noi stessi è una tortura, anche per la persona più equilibrata.

Non volendo parlar male degli altri, parlo di me stessa: oggi ho passato l’intera giornata come una bipolare, ma in simultanea. Ero contemporaneamente triste e arrabbiata, carica di vita ma anche assente a me stessa. Siccome poi so guardarmi dentro e parlarmi, mi sono chiesta cosa stesse succedendo, e mi sono risposta: oggi devo stare molte ore da sola, perché mia moglie è andata a lavorare intorno alle 16.30 e rientrerà solo domani mattina; succede che oggi ho dovuto fare la coda in farmacia e quella davanti a me è stata probabilmente la cliente più lunga della settimana; succede che una volta che la casa è pulita, hai mangiato, hai sistemato i gatti, hai guardato un film e ti sei iscritta ai tre esami di aprile, Valentina, poi sei sola con te stessa e cavoli! Son stufa di me stessa.

Posso metterci un però? Però non ho rotto i coglioni a nessuno.

E non perché non sia una che non ami rompere i coglioni, tutt’altro. Non l’ho fatto perché vomitare merda addosso ad altri non mi avrebbe giovato. Anche se fare la maestrina gne gne è nel mio dna, non avrebbe risolto il senso di inquietudine che mi avvolge oggi.

La verità è che questa cosa di essere un animale sociale per l’essere umano significa avere poco tempo da dedicare ai propri pensieri. Vai al bar e non hai tempo, se sei al lavoro figurati se ti metti a parlare con te stesso, stasera vado a cena dai miei, quasi quasi domani vado a pranzo con la mia amica, stasera mi guardo un bel film così spengo il cervello. E vien da chiedersi, almeno a me, quando mai lo ho davvero acceso, se adesso qualche ora da sola mi crea tutto sto trambusto dentro?

 

Il mondo aveva bisogno di fermarsi, ma forse non tutti eravamo pronti a farlo con lui.

 

Ha scelto un momento storico, sociale e politico difficile in cui chiederci di fermarci, perché abbiamo Facebook. Con una tastiera davanti riusciamo a chiudere i contatti con il nostro interno come facevamo nella vita di tutti i giorni, nella vita di prima, che alcuni dicono “non tornerà più, siamo cambiati, questa pandemia ci ha resi più umani”, ma no, non lo ha fatto, non illudetevi.

Altrimenti la D’Urso sarebbe senza lavoro dopo aver lasciato dire a un veterinario di lavare le zampe con la candeggina ai cani; Salvini sarebbe stato allontanato da ogni organo politico dopo aver proposto di togliere la responsabilità alle aziende sanitarie in caso di contagio da COVID-19 dei dipendenti dell’ASL; la Meloni avrebbe dovuto scusarsi per aver proposto che chi è senza lavoro o in stop da esso vada ad cazzum a fare l’agricoltore o l’allevatore, come fossero lavori che uno si inventa, che non c’è bisogno di saperli fare, basta andare a farli; Renzi non avrebbe usato la tastiera per dire che è ora di riaprire; se davvero il mondo stesse cambiando, se l’Umanità stesse cambiando, non ci si dovrebbe ritrovare a leggere commenti carichi di odio su chi sia il lavoratore più meritevole. Chi ha ancora un lavoro dovrebbe solo essere grato di aver fatto le scelte giuste, chi non ce l’ha dovrebbe avere la certezza di poter chiedere aiuto e trovare una mano tesa e pronta dall’altra parte, chi fino a ieri inneggiava alla pandemia programmata dovrebbe smettere di credere a ‘ste puttanate e restare a casa a tutela di tutti, chi fin da subito ha capito cosa stava succedendo dovrebbe parlare con queste persone, non denunciarle direttamente alle forze dell’ordine.

Se davvero questa pandemia stesse cambiando il nostro essere più profondo come vogliono farci credere, io riuscirei ad usare il mio cinismo e il mio sarcasmo per smontare tutte le troiate che leggo, ma forse stiamo solo perdendo i nostri strumenti di difesa e questo ci sta ammattendo tutti, e ammattire per ammattire, tanto vale farlo portandoci dietro quante più persone possibili.

 

So che ci sarebbe un “oppure” a tutta questa riflessione che vi ho propinato, c’è, lo so, ma ora come ora cadrei in facili sentimentalismi e accuse a chi credo stia facendo male il proprio lavoro di essere umano in questo momento. No, non me la sento, cadrei nella trappola di portarvi con me, di dirvi cosa dovreste fare, come dovreste comportarvi, ma in realtà io so solo come non dovreste, e ve l’ho detto.

 

L’ “oppure” che vorrei metterci me lo tengo stretto per sopravvivere al resto della nottata, che quasi sicuramente sarà insonne, perché di certo c’è che a me sta quarantena mi ha tolto di nuovo il piacere di dormire, perché io invece non sono cambiata poi tanto: il pane lo faccio con la macchina apposta e una volta che ho fatto le tre cose ordinarie leggo, guardo un film, studio. Quello che facevo prima insomma.

 

Vali

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