Quello che sto per dirti non ti piacerà, così come non piacque a me quando mi fu detto. All’inizio lo rifiutai come inaccettabile, inammissibile, impossibile; piano piano, però, a piccoli passi, quel messaggio si è fatto largo nella mia coscienza, fino a invaderla, mettendomi di fronte alla sua cocente verità. Non è stato facile conviverci all’inizio: ha significato – e significa tutt’ora – non sentirsi più al sicuro, accogliere il perturbante che è dentro di sé come un dato evidente, e doversi di conseguenza mettere in discussione costantemente.
Siamo tutti fascisti, e il primo modo di diventarlo è proprio negare di essere questo, anche.
Non ho mai sentito così tanto il bisogno – e il dovere – di urlare questa verità a squarciagola, abbaiando come un cane furioso a cui la catena sta decisamente troppo corta; ma dopo le votazioni delle scorso 25 settembre, mi sono sentito allentare il collare, e così ho rimesso in libertà il mio latrato cagnesco di denuncia.
Lo so, ti starai dicendo che ciò che grido non ha senso, che il mondo è diviso in parti nettamente divise e facilmente identificabili e che, soprattutto in politica, gli schieramenti contrapposti non hanno nulla che spartire tra di loro. Ergo: solo alcuni sono fascisti, o meglio, possono essere fascisti. Com’è comoda la ripartizione binaria della realtà – calda come la coperta in cui ti avvolgi la sera davanti al camino accesso e sicura come il tetto sulla tua testa che ti sei costruito con cura e fatica. Purtroppo, essa non rende giustizia alla complessità di tutto quanto esiste, in particolare a quella che esiste al nostro interno, in cui non è per niente semplice separare nettamente il bianco dal nero, la gioia dal dolore, il bene dal male.
Siamo tutti tavolozze da pittore, in cui i singoli colori si sono mischiati così tanto e così a lungo da risultare soltanto sfumature senza nome, riunite in un’unica grande macchia. Siamo nuances, nient’altro che nuances.
Guardare dritto negli occhi questa realtà, accettarla, introiettarla e vivere secondo di essa è il compito più arduo che l’essere umano deve affrontare nella sua vita: perché significa non solo l’abbandono della quiete e della tranquillità garantite dalla riduzione della molteplicità alla semplicità di due fronti contrapposti, ma anche l’assunzione di una responsabilità etica infinita nei confronti di sé stesso e degli altri – umani e non. Ma in tutto questo, cosa centra il fascismo?
La politica ha a che fare con il fenomeno del potere, ed esso non è qualcosa di relegato alla semplice sfera dell’amministrazione della cosa pubblica: è un sistema di relazioni che ha la stessa estensione delle interazioni umane. Questo significa, nella maniera più radicale, che il potere non può essere soltanto qualcosa che giunge a noi dall’esterno: esso emerge e forgia la nostra interiorità collocandosi a cavallo tra fuori e dentro del sé medesimo. Il fascismo è stato certamente una certa configurazione storica che la gestione del potere ha assunto per un particolare periodo di tempo, ma avendo a che fare con il potere non è possibile relegarlo soltanto entro questa ormai sterile definizione politologica. Dobbiamo avere il coraggio di trasformarlo in una categoria interpretativa del reale, al fine di comprendere sempre meglio i meccanismi del potere e di scovare le fratture all’interno delle sue maglie.
Il fascismo è un esito sempre possibile, intrinseco alle relazioni di potere, non solo trasversale alle epoche e ai contenuti, ma in parte dipendente dal nostro modo di diventare e rimanere noi stessi. Come sostenne Michel Foucault: “the fascism is in us all, in our heads in our everyday behavior, the fascism that causes us to love the power, to desire everything that dominates us”[1]
Ecco il pugno nello stomaco: non esiste alcun “noi contro di loro”, nessun “anti-fascista” puro, neppure la possibilità di affermare “io rifiuto il potere”. Esso agisce al di fuori di noi indirizzando le nostre condotte di vita, sussurrandoci all’orecchio che cosa desiderare, mascherando la propria di verità – ovvero che non c’è un “al di fuori” del potere. Ancora peggiore la situazione all’interno di ciascuno di noi: amiamo e rifiutiamo le relazioni di potere allo stesso tempo, e nel momento in cui neghiamo questa compenetrazione, deneghiamo l’aspetto cruciale e costitutivo dell’essere umano – la sua complessità, che comprende la dimensione fondamentale della contraddizione.
In tale visibilmente tragica condizione dell’esistenza e della politica, la reazione da parte nostra non dev’essere di abbattimento, ma di posizionamento etico di fronte alla cruda realtà del potere. Se ognuno di noi si assumesse l’onere singolare e collettivo di sostenere l’odi et amo che pronunciamo alle relazioni di potere al nostro interno, allora qualcosa ritorna ad esistere, netto, distintamente visibile e che irrompe nella vita quotidiana come un latrato al chiaro di luna: il complicato movimento di frizione nei confronti di ciò che il potere ci detta, tanto nei suoi aspetti repressivi quanto in quelli produttivi, a cui possiamo dare il nome di “libertà”. È proprio un simile attrito che impedisce al fascismo in noi di varcare la soglia della nostra interiorità per tradursi in forma politica totalitaria, e scatenare il proprio male sulla terra; ma esso è pur sempre un prodotto dell’essere umano, il che significa che se il male politico si presenta nella storia, ciò accade a causa della negligenza etico-politica dell’umano stesso.
Siamo tutti potenzialmente fascisti: chi lo diventa, è perché chiude gli occhi di fronte a questo rischio senza assumersene la responsabilità etica, accettando così di rinunciare all’unica azione che impedirebbe al fascismo di realizzarsi – la frizione critica nei confronti del potere.
Mi permetto così di enunciare una specie di diagnosi, intesa come del tutto anti-psicologica e per niente fondata – piuttosto come un atto di denuncia etico-politico: se il 25 settembre 2022 il popolo italiano ha eletto democraticamente la coalizione di destra con una predominanza per Fratelli d’Italia, è perché non ha saputo resistere alla seduzione del potere; non ha opposto resistenza alcuna all’amore che il potere genera e nutre al nostro interno; non ha esercitato l’unica facoltà critica politica che ognuno di noi può dispiegare in quanto essere pensante – il moto di attrito contro il complicato meccanismo di assenso e di rifiuto rispetto al potere al nostro interno.
Questa mia accusa non deve rassicurare in alcun modo tutti coloro che, leggendo queste parole, penseranno “io ho votato qualcun altro, quindi sono al sicuro dal fascismo”, non solo perché anche l’atto di votare è un dire di sì alle relazioni di potere – naturalmente esterne a noi, coagulate nella tanto amata democrazia rappresentativa – ma anche perché potrete essere voi i fascisti di domani che, alla prossima tornata elettorale, si dimenticheranno di abbaiare con tutta il loro fiato il loro “no” al potere. Io non sono in alcun modo un privilegiato: faccio parte come voi del consesso umano, e devo affrontare anche io l’odi et amo dell’umanità al potere.
Urliamo quindi a squarciagola la verità del potere: siamo tutti fascisti, il fascismo siamo noi.
Anglerfish
[1] Michel Foucault, Introduction into Nonfascist Life, prefazione all’edizione statunitense di Gilles Deleuze, Félix Guattari, Anti- Oedipus. Capitalism and Schizophrenia, Viking Press, New York 1977, pp. VI