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Qual’è la tua materia preferita?

“Qual è la tua materia preferita?” ho domandato l’altro giorno a un bambino di quarta elementare durante il pranzo di compleanno della sua nonna. “Arte e immagine” mi ha risposto secco.

Ha dovuto ripetere la risposta perché non avevo capito. Ero pronta a qualcosa come “italiano”, “matematica”, “storia”, o “scienze”; mi sono resa conto subito dopo che lo davo per scontato, senza prendere in considerazione la possibilità di un’altra risposta. Proprio io, figlia di due ex insegnanti di educazione fisica che mi hanno cresciuto con i racconti – non privi di frustrazione – delle loro udienze, quando code di genitori aspettavano il proprio turno davanti al collega di lettere o matematica, mentre loro, di fianco, avevano il vuoto davanti. Un grande classico che fa spesso sorridere. Mi ricordo che però sorridevano un po’ meno i miei genitori di ritorno alla sera da queste riunioni per loro così umilianti. Perché sì, deve essere umiliante essere completamente ignorati e sviliti, pubblicamente, in quel modo. Loro si arrabbiavano e hanno continuato ad essere arrabbiati fino alla fine della loro carriera scolastica. Arrabbiati e frustrati.

Mi ricordo mio padre che – ho saputo – aveva scelto di studiare all’ISEF non senza sacrifici dopo aver abbandonato la facoltà di architettura al secondo anno, schierandosi apertamente contro il pater familias che lo voleva architetto e che non gli ha mai perdonato lo sgarbo. Ricordo i suoi corsi di perfezionamento, le sue lezioni di nuoto, i libri di pedagogia in salotto e l’orgoglio di appartenere al gruppo dei “Tecnici Nazionali di Atletica Leggera”. Voleva fare l’allenatore e ha provato a fare del suo meglio.

Mia madre mi racconta ancora di aver studiato all’ISEF per seguire le orme del suo papà, che era stato a sua volta insegnante di ginnastica. Mi parla dei suoi viaggi su una piccola macchina di fortuna per raggiungere le sedi di Milano e Varese per le lezioni teoriche e pratiche. Dei sacrifici fatti per studiare, dei suoi primi anni da insegnante quando lavorava giovanissima in un piccolo comune in Valle Anzasca e per insegnare ai ragazzi il salto in alto, in mancanza di materassi adeguati, si usavano i materassi dei letti. “E’ stato il periodo più bello della mia vita” – mi ripete spesso – “Avevamo poco, ma eravamo entusiasti”. Mia madre, a 70 anni, continua a iniziare la sua giornata con gli esercizi di ginnastica. Mens sana in corpore sano. Come dire, una lezione base.

Loro sono stati insegnanti di educazione fisica, ma non credo che a quelli di arte o religione andasse molto meglio alle udienze. E non solo. Lo canta anche Battiato: “… Le serenate all’ istituto magistrale
nell’ ora di ginnastica o di religione”
. Una magra consolazione sapere di non essere da soli nel momento della pubblica umiliazione.

Oggi penso a una carissima amica che ha iniziato a insegnare l’anno scorso alle scuole medie (o scuole secondarie di primo grado, per essere precisi) con una messa a disposizione. “Arte e immagine” era la sua cattedra. E dico era perché quest’anno non le è stato possibile avere la stessa cattedra e, nonostante la risaputa precarietà lavorativa che perseguita la categoria degli insegnanti italiani, lei si ostina a voler insegnare. L’anno scorso ho avuto il piacere di condividere con lei per qualche mese il mio piccolo appartamento e ricordo la passione, l’attenzione e la dedizione con cui alla sera preparava le lezioni per i suoi studenti, cercando in tutti i modi di stimolare i loro sensi e la loro creatività per avvicinarli al “bello”. Un’altra lezione fondamentale.

Mi fa rabbia immaginarla nella stessa situazione dei miei genitori. Non è giusto. Non se lo merita. Non se lo merita nessuno. Non se lo merita un bambino di quarta elementare la cui materia preferita è “Arte e Immagine” e che, tra qualche anno, potrebbe avere come insegnante la mia amica, o insegnanti di “Arte e Immagine” che come lei – e pur essendo umiliati e sviliti da un intero sistema – continuano a svolgere il proprio lavoro con passione e competenza. Convinti dell’importanza del loro ruolo all’interno di un sistema educativo che sembra volerli mettere all’angolo insieme alle loro materie.

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