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Migrazioni e Capitalismo

Da qualche mese lavoro in una piccola accoglienza di migranti: sette ragazzi (mi domando ancora se siano tutti davvero maggiorenni) provenienti dall’Africa Occidentale.

“Siamo tutti figli dell’Africa”, mi ha ricordato una volta mia sorella.

Quelle parole mi tornano spesso alla mente quando mi occupo insieme a loro della loro vita, delle loro piccole-grandi esigenze quotidiane, di un’attesa psicologicamente snervante in attesa di una risposta, del loro faticoso procedere verso un futuro assolutamente incerto.

Attesa, incertezza e il peso della disperazione …

Non posso fare a meno di confrontarmi con l’altra faccia dell’umanità, quella del Sud del mondo, un confine puramente mentale, una linea tracciata sulle cartine al centro del Mediterraneo che unisce e divide la nostra “sviluppata” Europa dall’ Africa nera. Lì la pelle diventa più scura, lo sguardo si indurisce, il fisico si rafforza e si impara a sopportare. Fin da bambini si impara a sopportare la povertà, la miseria, il duro lavoro, l’umiliazione, mentre sugli schermi dei cellulari, la sera prima di andare a dormire, si vedono scorrere immagini di un Occidente ricco e prospero, dove tutto è possibile, dove puoi decidere chi sei, che lavoro fare, avere una casa, una macchina, un computer e tutto quello di cui – ci fanno credere – abbiamo bisogno.

Mi confronto quotidianamente con anime in fuga (e bisognerebbe seriamente iniziare a chiedersi da che cosa), persone che più o meno consapevolmente sono disposte a rischiare tutto pur di cambiare vita, in cerca di qualcosa di meglio, qualcosa di più …

E poi arrivano qui, diventando gli ultimi degli ultimi, “pericolosi e minacciosi invasori” per quella parte di società resa sorda e cieca, rintronata da quella cattiva politica che decide di voltare le spalle alla richiesta d’aiuto di un intero continente. Un intero continente ci sta chiedendo di provare a ripartire dalle basi: quelle dei diritti umani, del diritto alla libertà di movimento di persone prima che di merci, del sacrosanto diritto alla felicità per tutti. Un intero continente ci sta chiedendo a gran voce di rivedere i nostri confini, dimostrando – con la vita – che quelli attuali possono e (forse) devono essere superati.

Ascoltare seriamente la loro richiesta d’aiuto sarebbe un’ammissione di colpa.

L’ammissione di colpa di chi ha deciso di calpestare i diritti umani fondamentali per continuare a difendere e sostenere un sistema economico in cui i privilegi di pochi vengono pagati sulla pelle di molti.

Sangue, sudore, bastonate.

I corpi di quei giovani e “pericolosi invasori”, parlano anche di questo.

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