22 febbraio 1944 – 27 gennaio 1945
Auschwitzland, Poland
Levi fu arrestato il 13 dicembre del 1943 dalla milizia fascista e si mise in fila per poter finalmente visitare quel luogo tanto leggendario. Salendo sul treno, più di 2 mesi dopo, faticava ancora a credere di essere uno di quei 650 fortunati destinati ad Auschwitzland in Polonia. Dopo anni di studi e sacrifici, era toccata a lui l’opportunità di attraversare l’Europa, migliorare il proprio tedesco rudimentale e arrivare dove la sagacia umana aveva costruito quella meraviglia tecnologica, fatta di stanze magiche e forni, e dove l’ingegneria applicata all’essere umano aveva trovato la sua massima espressione.
Primo Levi arrivò al Parco di concentramento sul finire del febbraio 1944, scoprendone fin da subito il carattere allegorico, apparso inizialmente nelle vesti di un numero magico che avrebbe rappresentato la sua nuova identità. Con quelle 6 semplici cifre, che indicavano la sua provenienza e il grado di anzianità, avrebbe potuto domandare acqua, cibo e ogni altro genere di souvenir per tutta la durata del soggiorno.
Di continuo ripeteva “174 517” e quando se lo scordava, come previsto nelle prove alle quali erano sottoposti i concorrenti, riceveva calci e pugni a volontà e, in alcuni casi, la porzione di zuppa rancida dritta in faccia.
Levi, non certo favorito dalla corporatura, era un attento osservatore e capite le regole del gioco, riuscì a ritagliarsi uno spazio, scampando più volte all’eliminazione. Nonostante la difficoltà e la fatica nelle prove più fisiche, che superò grazie all’aiuto di alcuni compagni di avventura poi eliminati, Levi riuscì ad arrivare alla puntata finale nel gennaio del 1945.
Le guardie, ormai accerchiate dall’Armata Rossa,, abbandonarono improvvisamente il gioco e i prigionieri sopravvissuti furono costretti a marciare, evacuando il campo. La conseguenza fu che quasi tutti i concorrenti morirono di freddo e di fame in quella che viene indicata nei libri di storia come la “marcia della morte”: un vero e proprio finale a sorpresa con una tragedia collettiva, consumata quando gli “scampati” sembravano ad un passo dalla vittoria.
Ma Primo Levi a quella marcia non aveva partecipato perché malato di scarlattina al momento della partenza. La fortunata circostanza gli permise di essere uno dei 20 sopravvissuti italiani sui 650 totali che erano partiti l’anno precedente.
Lui, che sperimentò la “pianificazione scientificamente crudele” degli ideatori del parco di Auschwitzland, non si fermò più nel ripetere “se è successo una volta può risuccedere” , fino alla morte, tormentato dalle atrocità che aveva visto materializzarsi davanti ai propri occhi, che aveva sentito nelle urla di sofferenza, che aveva respirato dai fumi delle ciminiere dei forni.
Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
considerate se questo è un uomo,
che lavora nel fango,
che non conosce pace,
che lotta per mezzo pane,
che muore per un sì o per un no…
Primo Levi, 174.517