Vacanze di Natale impegnative.
Anzi, vacanze non è esattamente il termine giusto per descrivere lo stress, l’agitazione generale, gli impegni a scadenze ravvicinate che impongono un ritmo cieco e concitato a questi ultimi giorni dell’ anno.
Mentre un po’ per lavoro, un po’ per coscienza sociale, ero impegnata ad assicurarmi che due giovani ragazzi africani avessero i documenti e un tetto sopra la testa, ho girato per negozi in cerca dei regali per amici e parenti, letteralmente stordita da luci troppo promettenti per essere vere, dal frastuono e dalla fretta immotivata, dalla quantità spropositata di merce in vendita.
Una corsa contro il tempo verso quella destinazione tanto agognata che è il Natale quando, ormai provati oltre il limite da interminabili code alle casse e improbabili slalom tra osceni alberi di Natale in esposizione e pinguini che cantano ininterrottamente senza la gentil concessione di una pausa sindacale tra un’esibizione e l’altra, non si è più in grado di godersi il tempo insieme alla famiglia e agli amici che finiscono per diventare un contorno, se non addirittura l’elemento di fastidio, la causa scatenante di quella triste montagna di carta e plastica che ora giace per terra, dimenticata da chi poco prima ha scartato i regali con famelica curiosità.
Qualcuno si prenderà la briga di raccogliere i resti del Natale, quel packaging tanto indispensabile ai fini natalizi, l’apparenza funzionale a nascondere la sostanza.
Qualcuno si prenderà la briga di raccogliere quella che ora è diventata spazzatura e che il giorno dopo finirà su un anonimo camioncino della monnezza, pronta per la discarica.
Fine.
E adesso, cosa rimane?
In ritardo, Buon Natale.