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Il tempo a Londra: “Minchia, che vento ghiacciato!”; “Che palle sta pioggia”; “Oddio che caldo con il K-Way, sto sole è potentissimo”; “Oh, meno male qualche nuvola”; “Minchia, che vento ghiacciato!”. Vi abbiamo descritto un’ora di passeggiata a Londra.

I turisti a Londra: ponte di Westminster: selfie! Punto più alto della London Eye: selfie! Tower Bridge: selfie! Buckingham Palace: selfie! Crociera sul Tamigi, molo a caso con pantegane inglesi vaganti: selfie! Pub tipicamente inglese: selfie! Fermata della metro di Notting Hill: selfie! Sul taxi: selfie!

E io mi chiedevo: ma quando poi fai vedere le foto, la gente deve intuire com’è fatta Londra dagli sfondi dietro al tuo faccione?

Poi per fortuna senti una mamma italiana gridare al proprio figlio di circa 5 anni “Vieni qua e smettila di correre o giuro che ti spacco le gambe!” ed è subito Casa.

Underground londinese: chiude la linea che principalmente collega le periferie ai punti più centrali…di sabato e domenica! Orde di turisti nel panico, la fermata più vicina delle altre linee è a 3 km da lì. A piedi (e sì, siamo rimaste fregate anche noi ed era uno dei momenti “Che palle sta pioggia” del primo punto in elenco).

I londinesi: li riconosci principalmente in metropolitana, perché per strada, soprattutto nei giorni festivi, fatichi un po’. In metro per  sono quelli che sanno dove si fermano le porte, quindi sono sempre i primi a salire, di solito hanno uno zainetto da cui spuntano delle cuffie con cui probabilmente non sentire le puttanate dei turisti, se si siedono dormono, se non si siedono è perché fanno viaggi molto brevi, se non si siedono ma il loro viaggio è lungo, è solo perché i turisti, che hanno tutto il tempo di aspettare anche la prossima metro, si sono accalcati nelle ore di punta per i londinesi, e quindi probabilmente ti stanno maledicendo in tutte le lingue che conoscono, oltre all’inglese. Io per fortuna sono un po’ fobica al contatto umano, per cui ho sempre aspettato la metro con meno gente.

I londinesi sono molto ospitali e socievoli, devo ammetterlo, ma su una cosa sono abbastanza intransigenti: se sentono che parli un inglese appreso principalmente dalle serie tv americane, fingono di non capirti e parlano se possibile ancora più veloce per essere sicuri che non li puoi capire, perché loro la bocca la muovono, la aprono bene mentre parlano, non tengono i denti chiusi come gli americani delle serie tv. Quindi il mio consiglio è: se volete andare in Inghilterra, prima guardate qualche serie tv inglese, così sono contenti.

Le catene di caffetteria take-away: le diciture sono tutte in italiano, il caffè americano è scritto proprio AMERICANO, così come il CAFFE’-LATTE (che una volta ho detto alla cassiera che noi lo scriviamo caffellatte, ma non ha colto l’ironia di te che usi la mia lingua, io che ti correggo e te che te la prendi). Se per  entri e chiedi “an american coffee” ti chiedono conferma che stai chiedendo uno stracazzo di caffè americano. Ma mi prendi per il culo?

I commessi/cassieri italiani a Londra: lo senti che sono italiani, perché parlano tra di loro in italiano, ma quando ti avvicini alla cassa e dici “ciao, buongiorno, vaffanculo” ti rispondono in inglese.

The London Dungeon: se come me siete appassionati di morti, assassini, stragi, catastrofi, sangue e misteri, andateci! La più bella e terrificante storia di Londra in un’attrazione costruita nel migliore dei modi. Maledetta infermiera pazza, che mi hai terrorizzata a morte!

Locanda Locatelli: ristorante italiano di un italiano a Londra (è il tizio che ha preso il posto di Cracco a Masterchef, per intenderci). Tutto buonissimo, staff eccezionale, posto intimo e ben organizzato, MA: il bagno è in comune con un hotel di lusso, per cui vado a fare la pipì prima di mangiare, sfatta da 15 km camminati nella giornata, un po’ appiccicosa (nei momenti di K-Way e sole potentissimo del primo punto in elenco, si sudava davvero parecchio anche quando il K-Way lo toglievi, perché non perdevi tempo a togliere anche la felpa, tanto prima o poi sarebbe arrivato il vento ghiacciato) ma soprattutto vestita un po’ da turista e un po’ da barbona, e trovo una tizia nel corridoio d’ingresso del bagno con un vestito dorato, i capelli raccolti in una coda con nastro, anch’esso dorato e tacco 12, sì, sempre dorato. Si ammira nello specchio, sta caricando una story su Instagram in cui fa facce sceme allo specchio riprendendo il suo out-fit. Io ho riso tantissimo, lei mi sa che se l’è presa. Anche mia moglie è andata in bagno, a fine cena, e ha trovato tre ragazze che l’hanno squadrata e hanno riso (un po’ comprensibilmente, la sua descrizione corrisponde alla mia di qualche riga sopra), così lei, bellissima anche quando stanchissima, elegante e fine come nessuno mai nel mondo le fissa e dice a tutte e tre: “Va che ts’è venì fora anca ti dal beucc dela to mama cuma mi” (chiedo venia per la trascrizione, ma non sono fortissima a scrivere in dialetto) che tradotto per chi non fosse “attaccato giù” come noi, significa: guarda che sei venuta fuori anche te dal buco di tua mamma come me” e se ne va, caustica come solo lei sa essere.

La domenica mattina nel quartiere di Finsbury (dove avevamo l’hotel): poche persone in giro, nel parco un incontro di gente in bicicletta, sono le 8:30 e sembra che il quartiere si stia appena svegliando, anche le macchine sono poche, c’è un silenzio strano, mai sentito in questi quattro giorni. La gente cammina lenta, con un AMERICAN COFFEE in mano e lo sguardo rivolto a dove mette i piedi, qualcuno porta fuori il cane e qualcun altro sta rientrando probabilmente dal sabato sera nella City. E poi c’è lui, sulla pedana del kebabbaro di fianco al Pub, dorme beato, quasi baciato dal sole, la camicia aperta e la maglietta un po’ tirata su a mostrare anni e anni passati al pub e raccolti in una pancia un po’ pelosa. Ad un sguardo più attento, il tizio è coperto di sangue sui vestiti, un po’ anche sul viso, ma dorme sereno, nulla lo disturba. Tranne noi, che parliamo chiedendoci se sia vivo. A quel punto alza la testa un secondo, ci fissa e poi si gira dall’altra parte, in cerca di meno luce probabilmente. Questo sole che sorge lo disturba, e forse anche noi. Ovunque tu sia, sappi che sono stata molto in pena per te.

C’è una cosa che faccio sempre, quando sono in viaggio, che faccio quasi senza rendermene conto, ma che poi mi porto dietro sempre, ed è osservare le persone. Lo faccio sempre, anche se sono a “casa mia” ma se sono in viaggio è molto più interessante, perché di solito scopro cose specifiche delle abitudini o dei modi delle persone che in quella città ci vivono.

Per cui anche a Londra ho fatto questa cosa e le cose da elencare sarebbero infinite, ho fatto un sunto molto ristretto di quello che ho visto, sentito, osservato, provato. Ma c’è stato un momento in questo viaggio che credo non dimenticherò , o almeno lo spero perché è stato un momento bellissimo.

Eravamo in metro, viaggio di 20 min da Finsbury a Oxford. Un ragazzo e una ragazza seduti di fronte a me, si salutano e lui va verso le porte, scende alla prossima fermata, ma prima di andarsene le fa scivolare nello zaino una busta, che lei non apre finché lui non è fuori dalla vista, anche se io lo vedo cercare lo sguardo di lei attraverso le persone. Ma lo sguardo della ragazza è già concentrato ad aprire e leggere il contenuto della busta, che è un biglietto d’auguri, con un bellissimo disegno di due persone che tengono in mano un palloncino insieme. Non so cosa ci fosse scritto in quel biglietto, ma doveva essere qualcosa di molto bello. Lui scende e lei continua a leggere, si volta solo quando le porte si stanno già chiudendo, sembra delusa di non avergli dato un ultimo sguardo, ma poi riprende a leggere. Sorride lei, silenziosamente; i suoi occhi parlano a chi come me la sta guardando, ripone il biglietto nello zaino e si guarda intorno, nota che la sto fissando ma che anche io sorrido e lo fa a sua volta, condivide con me un pezzettino di quella felicità bellissima che sta provando, mi ci sento dentro persino io talmente è forte la sensazione che prova; poi riabbassa lo sguardo e si asciuga timidamente una lacrima felice che fa capolino dai suoi occhi verdi.

Mia moglie mi tocca una spalla, è ora di scendere. La osservo un ultimo istante prima di non rivederla mai più, e una volta scese dalla metropolitana stringo la mano di mia moglie, silenziosamente la ringrazio di amarmi in questo modo così perfetto, cosicché io possa aver condiviso con quella ragazza quel momento così bello, di amore. Ovunque tu sia, spero davvero che quell’amore che ti rende così bella duri per sempre.

Io e mia moglie ci siamo innamorate di Londra. Ci siamo andate con un obiettivo principale: il Nightingale Museum, sogno di mia moglie da quando ha deciso di diventare infermiera. Portarcela è stato come una mattina di Natale per qualsiasi bambino; girava nelle varie stanze con un’aria talmente felice che andare a Londra anche solo a vedere quello sarebbe valso aereo e hotel. Ma già che c’eravamo, essendo la mia bellissima compagna un’appassionata di storia inglese, ho potuto guardarla felice allo stesso modo fuori dai cancelli di Buckingham Palace, a spiare in tutte le finestre se poteva incrociare la Regina, o se magari era il momento di far pisciare i suoi cani.

Era felice mia moglie, a Londra, ed io con lei.

Ho ragionato per quattro giorni interi su cosa sia viaggiare con la persona che ami: a volte è estenuante se tua moglie ha la passione per il trekking e a te son toccate in sette anni quattro vacanze in Trentino a camminare. Ma può essere bellissimo se nel frattempo la rendi felice. Per quattro giorni, e forse per tutta la vita, mi chieder  se Londra è bellissima perché lo è, nonostante il tempo nefasto, la quantità di persone che ti vengono addosso e le cassiere delle caffetterie take-away, o se Londra è bellissima perché l’ho condivisa con la cosa più bella che la vita mi abbia regalato (insieme ai miei tre splendidi nipoti).

Non ce l’ho una risposta a questa domanda, ma so che quattro giorni a Londra non sono stati sufficienti, bisognerà tornare perché nemmeno il Museo delle Cere sono riuscita a vedere!

 

Vali

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