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Ieri ho partecipato alla pre-selezione di un concorso pubblico per candidarmi a una posizione molto ambita e di tutto rispetto presso la biblioteca di un comune volutamente non precisato del Nord Italia. Il Centro per l’Impiego della Provincia di riferimento si è occupato di diffondere la notizia, invitando tutti gli interessati a presentarsi alla tal ora del tal giorno presso le sedi dei suoi uffici muniti di carta d’identità, curriculum vitae e valore ISEE.

I motivi per cui ricoprire una posizione di un certo tipo sia subordinata al fattore reddito ancora mi sfuggono…  Resta il fatto che non ho potuto consegnare la documentazione richiesta: il mio CAF di fiducia non avrebbe fatto in tempo a preparare tutto, dal momento in cui il primo giorno libero per un primo appuntamento sarebbe stato pochi giorni fa. Inutile dire che ho deciso di presentarmi senza il valore ISEE (che, chissà perché, riesce ad essere sempre così poco veritiero rispetto alle nostre reali capacità), partendo in svantaggio di ben 25 punti (su un totale forse altrettanto volutamente non precisato), senza che nessuno mi abbia prima chiesto cosa avessi fatto nella vita, il mio percorso di studi, la mia esperienza professionale, le mie competenze ecc. ecc. Insomma, cose che io avrei voluto sapere, prima di declassare qualcuno, se non altro perché fin dalla più tenera età considero la biblioteca – qualunque biblioteca – un luogo sacro, di culto, custode della cultura, accogliente e democratico. Ma il mio modesto parere non può nulla nei confronti di quella micidiale macchina che è la burocrazia e che qualcuno ha saggiamente definito “rendere impossibile il possibile tramite l’inutile”.

Sapendo dunque in anticipo di essere svantaggiata di 25 punti (su un totale misterioso), mi sono diretta alla sede del Centro per l’Impiego munita soltanto di carta d’identità e CV aggiornato alla mia ultima esperienza di lavoro precaria. All’ingresso, mi sono dovuta fare spazio tra la folla per riuscire a raggiungere la scrivania adibita ad Accoglienza e chiedere il numerino per mettermi in fila. Mi è capitato il 67. Erano arrivati a malapena al 20. Con un tempo medio di attesa per persona stimabile intorno ai 10 minuti, avrei dovuto aspettare più di 3 ore. Cosa che effettivamente ho fatto (con uno scarto di circa mezz’ora), munendomi di tanta pazienza e di un giornale da leggere e sfogliare per ingannare l’attesa. Ben presto ho realizzato che eravamo tutti in coda per compilare un modulo dove inserire i nostri dati anagrafici e – per chi ne era in possesso – il valore ISEE, sotto la certosina supervisione di quella pazientissima donna seduta dietro alla scrivania adibita ad Accoglienza. Non ci vuole una laurea a pieni voti con lode in Scienze giuridiche per compiere un’operazione del genere dunque, io ed altre persone, abbiamo avuto la brillante idea di chiedere il permesso di compilarcelo da solo, il modulo, così per diversificare le attività da svolgere per ingannare il tempo e anche per dare il nostro umile apporto al fine di velocizzare i meccanismi inceppati di quella micidiale macchina burocratica, che nel frattempo, in quella stanza, stava creando parecchi malumori. A mezzogiorno, gente in attesa dalle 9.30 del mattino (l’arco di tempo stimato ed espresso con tanto ottimismo e fiducia sul sito web era 9.30-11.30) ha iniziato ad avere fame e dopo essersi accertata che le due impiegate avrebbero proseguito il loro lavoro indefesse fino al raggiungimento dell’ultimo numerino consegnato, ha reclamato anche il diritto di poter uscire e rientrare e di non essere rinchiusa, come i galeotti, all’interno dell’ufficio (che nel mentre aveva ufficialmente chiuso al pubblico e non poteva più fare entrare nuovi candidati). Quella pazientissima donna della scrivania adibita all’Accoglienza ha cercato di placare gli animi lasciandosi sfuggire, in qualcosa di molto simile a un sussurro e senza alcuna parvenza minatoria un flebile “Mi sto arrabbiando”, prima di riprendere la sua certosina supervisione alla compilazione dei moduli e dopo aver elaborato compiaciuta la trovata di mostrare il numerino per poter rientrare.

Alle ore 13 è arrivato il mio turno e sono passata alla seconda fase dell’attesa, nell’anticamera dell’ufficio adiacente dove un’altra impiegata (che non era ancora riuscita ad alzarsi per andare in bagno – così ho sentito che diceva al candidato che mi ha preceduta) ti richiedeva a voce la conferma degli stessi dati che avevi inserito nel modulo, ti faceva firmare un foglio e dopo essersi accertata che eri correttamente iscritto/a alle liste del Centro per l’Impiego, ti congedava. Arrivato il mio turno, ho deciso di concedere all’impiegata una pausa di 2 minuti per andare in bagno, prima di ripeterle a voce alta gli stessi dati che avevo inserito nel modulo. Dopo avere firmato, ho cercato di carpirle informazioni circa i criteri di selezione e la modalità di comunicazione agli interessati sui passaggi successivi. Mi ha risposto qualcosa, non ci ho capito molto, ma ho preferito non indagare oltre, rassegnata…

 Alla fine questa lunga mattinata di attesa si sarebbe potuta evitare con la pre-compilazione di un modulo online….

Ah, la burocrazia!

E poi diciamocelo, mettere come requisito di accesso la scuola dell’obbligo per un posto da bibliotecario è già di per sé assurdo. Posizionare economicamente questo tipo di lavoro tra le fasce di retribuzione più basse è svilente e irrispettoso nei confronti della cultura. E dare la precedenza alle persone apparentemente meno abbienti in una situazione che non dovrebbe discriminare nessuno in partenza, è quantomeno discutibile se a farlo è un ente pubblico che sta per assegnare un posto a tempo pieno e indeterminato…

Ah, la meritocrazia!

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