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La memoria corta di certi italiani

Quest’anno la Giornata della Memoria è caduta nello stesso giorno dell’annunciata sconfitta di Matteo Salvini in Emilia Romagna, in seguito a un’agguerrita campagna elettorale in cui, come di consueto per l’ex ministro dell’Interno e aspirante premier – tanto acclamato da certi italiani- sono state prese di mira e diffamate pubblicamente delle persone, non a caso appartenenti alle classi sociali più deboli e svantaggiate, facili bersagli da parte di chi non ha occhi per guardare al di là del proprio naso. Una campagna elettorale xenofoba e piena di odio che è andata a legittimare, presso una parte di popolazione, comportamenti che si sperava appartenessero ad un passato buio, ma superato.

Nonostante la sconfitta elettorale, se c’è ancora gente che lo acclama e che auspica a gran voce che il suddetto prenda “pieni poteri” significa che, evidentemente, questo oscuro passato, culminato con lo sterminio di decine di milioni di persone nei campi di concentramento, non è affatto superato e che il confine che ci separa dalla più cieca disumanità è appena oltre la porta di casa nostra.

Nei campi di sterminio non morirono solo ebrei, ma anche rom, disabili, omosessuali e dissidenti di vario tipo, che spesso venivano segnalati alle autorità dai vicini di casa e da persone in altri momenti insospettabili, in un clima generale di diffidenza e paura.

Rom, disabili, omosessuali, dissidenti: non sono forse le stesse categorie che il tanto osannato Salvini ha preso di mira nell’ultimo periodo?

Qualche anno fa ho deciso di andare a visitare il campo di concentramento di Auschwitz. Mi sembrava un atto doveroso, per conoscere la storia più da vicino, con i miei occhi, per non dimenticare quello che è accaduto nel cuore dell’Europa meno di un secolo fa, per capire fino a che punto può degenerare l’essere umano.

Era una fredda giornata di gennaio e, coperta da un pesante piumino, sciarpa, cappello e guanti, camminavo lentamente in quel campo della vergogna, in silenzio, insieme al mio gruppo, provando a immaginare quanto diavolo facesse freddo allora per chi poteva indossare soltanto un consunto “pigiama a righe” anche nei rigidi inverni polacchi…

Ho continuato ad avere freddo per tutto il tempo, mentre mi inoltravo tra muri che trasudavano un dolore che non cesserà mai di essere, grida mute di chi, in un ultimo estremo tentativo di sopravvivenza, ha lasciato una scritta sulle pareti dei dormitori, il proprio nome, una data o una semplice frase: “Io sono stato qui”.

Forse, per chi ancora si rifiuta di ricordare, per chi ha ancora il coraggio di acclamare senza alcuna vergogna un fomentatore di odio e violenza che, in altri tempi, avrebbe potuto essere la copia dei peggiori dittatori del Novecento, dovrebbe farsi un giro lì, ad Auschwitz, nel mese di gennaio, coperto solo da un consunto pigiama a righe e immergersi in quella storia che noi – che non siamo loro – cerchiamo di non ripetere.

Per molti del mio gruppo, il momento più toccante, quello che ha costretto alcuni ad uscire dalla stanza perché “era troppo”, è stato quello in cui, dietro ad una vetrata, ci è stata mostrata una quantità indicibile di capelli, una montagna di capelli appartenenti a chi ora non c’è più e che lì, in quel campo, ha perso l’anima e la vita.

Chissà se, di fronte a questo tragico spettacolo, questi acclamatori senza memoria, proverebbero un minimo di commozione, dettata da quell’umano identificarsi con l’altro? Quei capelli chissà, potrebbero appartenere a uno dei loro avi o a loro stessi se avessero vissuto in un’altra epoca e se fossero nati scuri di pelle, rom, omosessuali, disabili… Chissà…

“Chi non ricorda il passato è condannato a ripeterlo” scriveva il filosofo spagnolo George Santayana .

E’ questo a farci paura.

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